Tutti noi, prima o poi, spesso o meno, nelle nostre vite proviamo dolore. Ma vi siete mai chiesti perché esiste il dolore? Che funzione ha? Vi assicuro che saperlo può rendervelo più…amichevole! Scopriamolo insieme.

Questo articolo è rivolto a TUTTI, perché, come detto, il dolore è un esperienza normale che fa parte della nostra vita.

L’opinione comune sul dolore è spesso caratterizzata da un aura di negatività e troppo spesso le credenze comuni su di esso sono fondate su conoscenze superate.

Cambiare la visione che abbiamo del dolore ci può aiutare nella sua comprensione, nella sua gestione, e nel suo trattamento.

Al termine di questa lettura avrai una visione diversa del dolore, più moderna, che ti aiuterà a comprendere la tua condizione e a comportarti di conseguenza.

VECCHIE CREDENZE & NUOVE SCOPERTE

I concetti cardine sul dolore che la maggioranza delle persone crede sono questi:

  • Il dolore è un informatore: ci informa che c’è un tessuto lesionato/un danno nel nostro corpo.
  • Il dolore riguarda il passato: è avvenuto un fatto, in conseguenza a ciò, provo dolore.
  • Il dolore è come un piccolo diavolo che ci racconta che c’è qualcosa che non va, un nemico da sconfiggere ed eliminare dalle nostre vite.

In sostanza abbiamo una visione negativa del dolore

NUOVE SCOPERTE

I nuovi concetti che emergono dagli ultimi 30 anni di ricerche scientifiche sul tema del dolore ci dicono invece:

  • Il dolore è un protettore: ci protegge da un’ipotetica lesione o da una lesione ancora maggiore.
  • Il dolore riguarda il futuro: proviamo dolore per evitare di peggiorare la nostra condizione in futuro.
  • Il dolore è come un piccolo angelo che prova a tenerci al sicuro.

NELLA PRATICA?

Partiamo con un esempio che dovrebbe essere concettualmente più semplice: il dolore che proviamo a seguito di un danno tissutale (un taglio, una botta, una lesione muscolare, legamentosa, una frattura etc).

Immaginiamo che ci siamo tagliati un dito con un foglio di carta. Perché proviamo dolore?

Secondo le idee comuni il dolore ci informa che la cute del nostro dito si è tagliata e proviamo dolore finché la nostra cute è lesionata. Il dolore è come un diavoletto che ci punisce per quello che è successo.

Questa idea è talmente radicata che nemmeno ci sogneremmo di metterla in discussione.

Secondo le nuove idee invece proviamo dolore al dito perché il nostro corpo vuole proteggere quella parte lesionata da un ulteriore danno che avverrebbe qualora continuassimo a muovere quella parte come se nulla fosse successo. Il dolore continuerà finché il nostro cervello “crederà” che c’è bisogno di protezione.

Il dolore è come un angelo custode che interviene per cercare di tenerci più al sicuro possibile.

 LA FUNZIONE DEL DOLORE È QUELLA DI PROTEGGERCI

Il dolore rappresenta una grande motivazione a fare qualcosa. Quando proviamo dolore siamo altamente motivati a fare qualcosa per non sentirlo, per uscire dalla situazione di sofferenza.

Il dolore ha una importanza vitale.

Possiamo vedere le conseguenze di una vita senza dolore in quei soggetti che a causa di mutazione genetica non provano dolore e pertanto non sono motivati a cambiare la situazione pericolosa in cui sono. Per quanto in un primo momento possa sembrare bello, fermiamoci a riflettere con più attenzione.

Pensate a cosa succederebbe se non provassimo dolore in seguito ad una frattura al femore. Quali ulteriori danni potremmo arrecarci se provassimo a camminare comunque?

Pensate se non ci accorgessimo di aver appoggiato la mano su una piastra bollente? E gli esempi potrebbero continuare…

Quelle persone che non possono sentire dolore spesso hanno una vita breve.

QUANDO LE “CREDENZE” CI INGANNANO

Prendiamo ora un caso concettualmente meno immediato da comprendere come potrebbe essere un dolore alla schiena che persiste da mesi o anni.

Se pensiamo con le vecchie idee, allora dovremmo credere che per tutta la durata del nostro dolore avremmo una lesione in corso ad un tessuto quando ormai sappiamo da tempo che il recupero tissutale è al massimo 3-6 mesi.

Sappiamo che il dolore “fluttua” di momento in momento, di giorno in giorno e di contesto in contesto.

Come spiegheremmo queste fluttuazioni con le vecchie idee?

Proviamo ad applicare i nuovi concetti che la scienza sta dimostrando.

Abbiamo detto che il dolore è un protettore, vuole impedirci di farci male, pertanto finché il cervello “crederà” che c’è bisogno di proteggere una parte del corpo in pericolo produrrà dolore al fine di mettere al sicuro quella regione del corpo.

Questa “credenza” può durare per un tempo indefinito di giorni, mesi, anni.  In quei momenti in cui il cervello avverte maggior pericolo aumenterà il dolore mentre quando avvertirà una situazione più sicura ridurrà il dolore. Questo modello ci spiega come sia possibile provare dolore per un tempo che va oltre la guarigione tissutale e che sia “fluttuante” nel tempo.

Il cervello scannerizza in continuazione tutte le informazioni che gli arrivano dando una risposta in tempo reale.

La Bilancia Cerebrale

Possiamo pensare ad una bilancia a due piatti in cui il cervello “pesa” le informazioni che arrivano.  Se le informazioni dal corpo e dall’ambiente vengono interpretate come “pericolose” saranno su un piatto della bilancia mentre se vengono interpretate come “sicure” vengono poste sull’altro piatto.

Se la bilancia pende verso il “pericolo” il cervello sceglierà il dolore come risposta protettiva mentre se la bilancia pende verso il “sicuro” non verrà prodotto dolore.

Con il passare del tempo il cervello diverrà sempre più abile nella risposta protettiva interpretando le varie informazioni provenienti dal corpo e dall’ambiente come fonti potenziali di pericolo anche quando in realtà non lo sono. Procedendo ancora nel tempo il cervello farà avvertire dolore al solo tentare o, addirittura pensare, di compiere un movimento. Arrivati a questo punto capiamo come non siano i tessuti a creare il dolore ma, bensì, l’elaborazione errata delle informazioni.

Tornando al nostro esempio di mal di schiena persistente possiamo intuire come il trattamento del dolore sia rivolto a togliere peso dal piatto “pericoloso” della bilancia e mettere peso nel piatto “sicuro”.

I “pesi” possono essere di varia natura – biologica, psicologica, sociale –  e tutti concorrono a creare una condizione dolorosa o meno.

Per conoscere quali sono i “pesi” leggi quest’altro articolo!

IN CONCLUSIONE

  • Il dolore ha un ruolo protettivo fondamentale, che riguarda le previsioni sul futuro e che possiamo immaginarlo come un angioletto protettore.
  • Il dolore in una condizione acuta di lesione tissutale è molto diverso dal dolore persistente che ci affligge da mesi o anni.
  • Il dolore è una motivazione che ci porta a cambiare il nostro comportamento.
  • La bilancia del dolore ha due piatti – pericolo e sicurezza – che se pende verso “pericolo” ci sarà dolore mentre se pende verso “sicurezza” non ci sarà.

In questo contesto il professionista rappresenta un punto di riferimento , spesso fondamentale, per comprendere la persona assistita tramite il processo di anamnesi (dolore acuto/cronico?), per ordinare le informazioni raccolte in modo da porre chiarezza al quadro clinico ( cosa viene “pesato” sul piatto pericolo/sicurezza?) , per guidare il paziente nel processo di guarigione ( cosa- come – quanto fare o non fare).

Il dolore non va ignorato o combattuto come fosse un nemico. Il dolore va compreso.

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Riferimenti

NOI Group
-Explain pain 2003
-Graded motor imagery 2016
-Protectometer 2015
-Explain pain superchaeged 2017

– Il dolore, 10 punti per comprenderlo – Fabrizio Benedetti

Riccardo Riboni

Fisioterapista

Laurea in Scienze Motorie Sport e Salute. Laurea in Fisioterapia.

Lavoro come dipendente in ambito pediatrico presso un Centro di Neuropsichiatria Infantile e Adolescenziale, mentre come Lavoratore Professionista seguo tutte le fasce di età senza distinzioni.

Esperto di niente, appassionato di tutto, convinto che si possa essere seri senza essere seriosi, sono alla ricerca continua di come migliorare la mia persona e la mia pratica.